sul WEB Colledara di Fedele Romani
Nel settembre del 1906 in un albergo della montagna pistoiese Fedele Romani metteva la parola "fine" al suo capolavoro "Colledara", straordinario libro di memorie che descrive luoghi e persone del suo paese d'origine.
Tre anni dopo, il 4 settembre del 1909, alle ore 16 e 40 minuti, nel Kursaal Hotel di Rapallo, chiudeva "Da Colledara a Firenze", nel quale racconta la propria vita di studente e poi di professore attraverso un lungo viaggio che si snoda per numerose città italiane, fino a giungere a Firenze dove, nel liceo Dante, andò a occupare la cattedra di Italiano che era stata di Raffaello Fornaciari e di Isidoro Del Lungo.
In quei giorni Fedele sapeva già di essere gravemente malato e che ormai gli restava pochissimo tempo da vivere. Le ultime pagine del suo secondo romanzo infatti sono cariche di mistero e di angoscia e sembrano rivelare qualcosa del suo Credo personale: pagine che possono far pensare a una qualche sua adesione alla dottrina della Reincarnazione.
Che Romani avesse da tempo abbandonato la fede cattolica è accertato ed è lui stesso a dichiararlo apertamente; niente però egli lasciò mai trasparire, stando almeno ai suoi scritti conosciuti, sulla sua privata visione del mondo. Ad alimentare tale misteriosa aura si può aggiungere l'enigmatica dedica che a Fedele e ad altri due amici (Giovanni Setti e Alfredo Straccali) volle riservare Giovanni Pascoli, nel licenziare Poemi Italici (Bologna, Zanichelli, 1911) sul quale leggiamo "Santi cuori che non battono più. Nobili menti che pensano ancora. Dolci memorie che resteranno, sempre".
Fedele Romani morì a Firenze il 16 maggio del 1910.
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